L'armonia del nero

a cura di Francesco Siracusa

Francesco Siracusa: Perché dovremmo avere ancora bisogno di pittura?

Non credo che la pittura vada intesa come un “bisogno”. Essa esiste ed ha senso di esserci al pari di qualsiasi altro linguaggio e, come tale, riesce e si completa quando si avvia un dialogo “sincero” fra l’opera ed il fruitore.

Cosa intendi per sincerità nel rapporto con l’opera? Non pensi che in definitiva la “sincerità” non sia altro che la necessità di un’opera?

Il mio forse è un discorso per certi versi complesso da attuarsi. Considero il momento ultimo per il completamento dell’opera proprio la fruizione che può averne l’osservatore. In questa dualità, in questo gioco di rimandi fra i due protagonisti del momento - l’opera ed il suo osservatore - mi auguro sempre che vi sia uno scambio privo di preconcetti o sovrastrutture, un dialogo che si concentri più che altro in uno scambio empatico di percezioni, intuizioni e racconti. E’ in questo stato di cose che, a mio avviso, per quanto ne possa valere, si ha una sincerità corale.

Qual è la logica di un pittore e in cosa si differenzia dalla logica, per esempio, di uno scrittore?

In realtà non vi è molta differenza. Entrambi sono dei narratori di storie, mettono in risalto attimi, gesti ,ripropongono il loro vissuto. A volte diventano inventori di mondi nuovi, regolati da dogmi autonomi e svincolati dalla realtà contingente. E’ nel codice utilizzato che si differenziano, nell’arma che usano per i loro fendenti.

Ma il mezzo non cambia la storia? Non è esso stesso un contenuto diverso a seconda di che mezzo si tratti?

Se per mezzo intendiamo lo strumento, la tecnica utilizzata, è inevitabile il collegamento ad una certa “contemporaneità” di alcuni linguaggi. Preferisco però vedere il mezzo non tanto come il contenuto dell’opera, ma come linguaggio che consenta al meglio di garantire proprio quella fruizione sincera e spontanea di cui parlavo. Forse un tempo, quando vi era una sperimentazione maggiore dei linguaggi, si poteva attribuirle il merito di scandire una certa temporalità, oggi però - per fortuna - non credo che ciò avvenga più. Viviamo un momento storico molto fortunato in cui possiamo spaziare come meglio crediamo da un mezzo all’altro

Come nasce un’idea? Che cos’è per te l’ispirazione?

La nascita dell’idea è un processo spontaneo, spesso legato al proprio vissuto che emerge fra i pensieri, per immagini, odori o percezioni. Probabilmente il segreto sta nell’immergersi nella vita o come direbbe un mio amico “ del farsi di vita”. Mancando un tale atteggiamento di cosa si potrebbe parlare? Come si potrebbe solo pensare di riuscire a scuotere chi osserva l’opera? I quadri sono una sorta di diapason che vibrano a frequenze diverse e che interagiscono con quelle di chi le fruisce; le esperienze di vita servono proprio ad innescare queste vibrazioni. Non amo molto la parola ispirazione, ciò nonostante l’affiancherei alla parola vissuto, ecco forse l’ispirazione è la vita stessa.

Vuoi parlarmi degli insoliti titoli che hai dato a queste opere?

Sono diversi i punti di riferimento con cui mi confronto quotidianamente nel lavoro, diversi gli interessi e spunti verso cui si rivolge lo sguardo della mente alla ricerca di percezioni su cui sviluppare la mia ricerca. Nel caso specifico di quest’ultima produzione, è dichiarata - riferimento esplicito sono i titoli delle opere in tedesco- la matrice teutonica di appartenenza. Non vi è però un legame diretto con gli operatori del territorio, seppur apprezzati e guardati con attenzione, come Richter o la cerchia dei pittori simbolisti tedeschi. Le opere sono più che altro impregnate delle tonalità soffuse e ovattate delle pianure bavaresi, dei toni sordi che il paese mi ha presentato quotidianamente durante una mia permanenza nel sud della Germania. La tavolozza perde la vivacità e saturazione dei toni tipici della mia terra d’origine - la Sicilia - a favore di una ristretta gamma cromatica, dai rarefatti contorni e tenui passaggi chiaroscurali.

Quando un’opera si può ritenere buona?

L’opera necessità di tre precisi requisiti per potersi definire “buona”: la tecnica o il mezzo con cui è realizzato, da non fraintendere però con un mero virtuosismo tecnico che spesso è più legato ad un autocompiacimento, bensì ad un uso lungimirante delle possibilità offerte dagli strumenti usato quali, per fare un esempio, colore, velature o impasto pittorico. Inoltre il contenuto o il racconto. Ed infine la sfera emotiva che si configura e completa quando dialogano le emotività del creatore e del fruitore. Basta un unico individuo, basterebbe un’unica interazione di questo genere per considerare l’opera in buona parte riuscita.

Gli elementi fondamentali di un’opera sono il messaggio ed il linguaggio. In questa tua nuova produzione, con quale messaggio e linguaggio possiamo rapportarci?

E’ la fragilità dell’individuo, la precarietà della sua memoria, il tema su cui si sviluppa l’intera produzione esposta in mostra. Sia che si parli di grafica, che di pittura, vi è una stratificazione di velature tese a cristallizzare, in una stato di momentanea atemporalità, gesti, ritualità e memorie di un passato non molto lontano, difficilmente collocabili in una linea temporale dichiarata. Questa fragilità è messa in risalto, attraverso l’uso contraddittorio dei materiali, da un lato l’ardesia, recuperata dalla tradizione pittorica italiana - altissimo esempio e punto di riferimento le opere di Sebastiano del Piombo – dall’altro l’uso improprio delle lacche che nel caso specifico si fanno corpo, acquistando una matericità ed un ruolo che spesso è delegato ad altri colori. Da un lato dunque l’ardesia contraddistinta per il suo nero intenso, profondo e rigido; dall’altro la morbidezza e la nostalgica atmosfera ottenuta attraverso la “garanza”.

Quindi? Infine?

Siamo complici di un gioco di rimandi. Vi è una continua e dichiarata dualità, in parte presente per contraddizioni, in parte volutamente fatta di complicità fra l’opera ed il fruitore. Le opere diventano un racconto aperto, un invito al dialogo con chi le osserva, teso a completarne l’epilogo attraverso il proprio personale corpus di esperienze e memorie.